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Malattie virali e batteriche

La gestione del paziente con herpes genitalis
A. Di Carlo

Servizio MST-AIDS, Istituto S. Gallicano, Roma


 

L’herpes genitalis (HG) è una delle piu frequenti malattie sessualmente trasmesse ed appare in continua espansione. Responsabile nella maggior parte dei casi è l’HSV2; attualmente la percentuale di HG da HSV1 è in aumento in Europa e negli USA.

Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di vescicole e/o erosioni con tipica disposizione a grappolo, localizzate a livello dei genitali esterni, della cervice, del retto, del perineo, e da linfoadenopatia loco-regionale. L’obiettività cutanea spesso si associa a dolore locale, prurito, disuria, secrezione uretrale e vaginale e, particolarmente nella prima infezione erpetica, a sintomatologia generale caratterizzata da febbre, cefalea e mialgie.

La diagnosi di laboratorio si basa attualmente sull’ impiego di tecniche atte a rilevare la presenza dell’antigene (ELISA, PCR). Meno impiegati sono il test citologico (Tzanck, poco sensibile e specifico), e l’ isolamento del virus in coltura tessutale.

Nel trattamento dell’herpes genitalis, oltre alla terapia specifica farmacologica, sono da considerare gli importanti effetti che la malattia riveste sullo stato generale psico-fisico ed i conseguenti riflessi sulla vita sociale e sessuale.

Questi aspetti vanno discussi con il paziente sin dal primo approccio facendo rilevare gli aspetti generali della malattia erpetica caratterizzata da: cronicità, tendenza alle recidive, infettività anche in fase asintomatica, impossibilità allo stato attuale di eradicare l’infezione.

La chemioterapia antivirale si avvale oggi di analoghi nucleosidici che agiscono interrompendo la sintesi del DNA virale attraverso l’ inibizione della DNA polimerasi.

L’acyclovir (Elion e Hitching, 1977) raggiunge tale effetto attraverso la biotrasformazione endocellulare, mediata dalla timidochinasi (TK), ad acyclovir monofosfato, quindi trifosfato in grado di bloccare la DNA polimerasi virale. La biodisponibilità non elevata del farmaco (15%-20%) comporta un maggior numero di somministrazioni nelle 24 ore, tuttavia esso ha una affinità 100 volte maggiore del penciclovir trifosfato per la DNA polimerasi.

Il famciclovir (1995) è il diacetildiossiestere del penciclovir, analogo della guanosina, che dopo conversione a penciclovir viene fosforilato dalle TK virali e cellulari a penciclovir trifosfato, anch’esso in grado di bloccare la DNA-polimerasi virale. In vitro l’emivita intracellulare del penciclovir trifosfato è di 7-20 ore mentre in vivo la sua biodisponibilità è notevole (77%).

Il valaciclovir è l’estere dell’acyclovir: ha una biodisponibità superiore di 3-5 volte a quella dell’acyclovir e raggiunge una concentrazione ematica pari a quella dell’acyclovir endovena.

I tre farmaci sono equivalenti sul piano dell’efficacia clinica e sono in genere ben tollerati.

In letteratura vengono riportate diverse modalità di impiego sia nell’herpes primario che nelle forme recidivanti, nelle quali si possono scegliere, a seconda dei casi, cicli brevi di terapia (7-10 giorni) o più prolungati con finalità sospensiva.

Sono allo studio nuove prospettive terapeutiche. Tra esse figurano vaccini (subunità virali come la gp D dell’HSV2 associate ad adiuvanti, virus attenuati, acidi nucleici), farmaci inibitori non nucleosidici (dUTPasi), farmaci ad attività inibente l’elicasi specifica (blocco del DNA), ed infine immunomodulatori (Resiquimod).

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