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Corso AIDA-GISP

Criopeeling
G. Labrini, Parma

Coordinatore Nazionale Gruppo Italiano Studio Peeling (GISP)


 

Nel 1940 Dobes e Coll. pubblicarono un metodo di trattamento dell'acne con la crioterapia (“slush method”). Nel decennio successivo si cominciò a praticare il criopeeling con una miscela estemporanea di neve carbonica, acetone e fiori di solfo, che veniva applicata con un tampone sulle lesioni acneiche in fase pustolosa. Dagli anni settanta in poi, Graham e successivamente Leyden, Mills e Kligman, pubblicarono i risultati ottenuti, sempre nel trattamento dell'acne, applicando esclusivamente azoto liquido, ottenuto comprimendo l'azoto in fase gassosa fino alla sua pressione critica, raggiungendo una temperatura di - 196°. Si può utilizzare con la tecnica dello sfregamento e/o del tamponamento oppure spruzzandolo con un apparecchio a pressione. L'azoto liquido, a contatto con la cute, evapora velocemente assorbendo calore, mentre gli strati superficiali del tessuto trattato raggiungono temperature progressivamente più basse, fino al congelamento. Durante il peeling il paziente accusa una sensazione intensa ma non costante di bruciore, che si accentua nella fase di scongelamento. Nel criopeeling superficiale, che generalmente prevede sedute multiple, le zone trattate appaiono eritematose, dopo la fugace fase del congelamento, in cui la cute appare biancastra. Alternando invece più volte sulla stessa zona, fasi di congelamento e scongelamento, si ottiene un'azione più profonda, con frost discretamente persistente ed edema intenso. La fase dolorosa si esaurisce in tre-quattro ore e si instaura edema, più o meno marcato, correlabile al livello di profondità raggiunta dal congelamento. Nelle aree trattate si formano lesioni vescicolo-flittenulari, e successivamente croste sierose. Dalla decima alla quindicesima giornata si ha riepitelizzazione completa. Le indicazioni principali del criopeel sono l’acne in fase attiva e gli esiti microcicatriziali post-acneici. Buoni risultati anche nel trattamento di rosacea, rinofima di recente insorgenza, verruche piane diffuse del viso e stati discheratosici superficiali. Complicanze rare ma possibili sono rappresentate da esiti discromici, sia ipocromici di tipo “melanotossico”, che ipercromici da mancata fotoprotezione.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

  • LABRINI G.: Peeling chimici. In L. Celleno: Guida alla Dermatologia Cosmetologica; 2001, vol. II: 79-90. Percorsi Editoriali di Carocci Editore, Roma.
  • LABRINI G.: Side effects and complications of chemical peeling. JEADV 2003; 17, suppl. 3: 465.
  • LABRINI G.: Peeling chimico: proposta di una scheda paziente anamnestico-procedurale. Dermatologia Ambulatoriale 2004; XI, 4: 50-54.
  • LABRINI G.: Peeling chimici. Dermatologia Ambulatoriale. Anno XIII, 1-2: 24-32, 2005

Martedì 16

Mercoledì 17

Giovedì 18

Venerdì 19

Sabato 20

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